C’è chi pensa che lo stile sia un marchio personale, un’impronta irripetibile. E chi, invece, lo tratta come un vestito da cambiare a seconda delle occasioni. Nel giornalismo di oggi, stretto tra automazione e ricerca di credibilità, lo stile appare sempre più come un elemento modulabile, quasi “prendibile in prestito”. La sostanza, invece, resta affare del giornalista: verificare i fatti, scavare nelle fonti, ricostruire scenari complessi.
È un equilibrio delicato. Da un lato, la scrittura può adattarsi, mescolarsi, persino farsi ibrida – pensiamo agli strumenti linguistici generativi, i cosiddetti LLM, che sono in grado di assemblare testi fluenti attingendo a stili diversi. Dall’altro, resta il compito irrinunciabile di garantire verità, accuratezza, responsabilità. In altre parole: la forma si può prendere in prestito, la sostanza va costruita con metodo.
Lo stile come prestito, la sostanza come mestiere
Il giornalista non lavora nel vuoto. Ogni pezzo si colloca in un ecosistema di riferimenti, linguaggi e pubblici. Per questo lo stile è spesso il risultato di un mix: toni narrativi per avvicinare il lettore, lessico tecnico quando serve precisione, metafore che rendano comprensibili concetti astratti.
Ma se la forma si può modellare, la sostanza resta frutto di artigianato: tempo speso su documenti, interviste, analisi dei dati. Qui nessun algoritmo può sostituire l’occhio critico. La scrittura diventa quindi un’interfaccia: può adottare registri diversi, persino “automatici”, ma ciò che veicola deve poggiare su basi solide.
Il rischio opposto è affidarsi solo alla superficie. Titoli accattivanti, paragrafi brevi, liste puntate – tutto può sembrare informazione, ma se dietro manca la verifica il testo resta guscio vuoto. Uno stile ben confezionato non può compensare l’assenza di sostanza, così come un vestito elegante non copre la mancanza di contenuto.
La tentazione del clickbait
In questo scenario si inserisce un modello ormai diffuso: il giornalismo da clic. Funziona così: attirare l’attenzione con titoli sensazionalistici, trattenere l’utente quanto basta, raccogliere dati attraverso strumenti come Google Analytics. Poi monetizzare con pubblicità e rivendita delle informazioni comportamentali.
Un’economia della visibilità che non premia la qualità dell’informazione, ma la quantità di interazioni. Più clic, più valore per gli inserzionisti. Risultato: pagine piene di banner, contenuti superficiali, scarsa profondità. È un giornalismo che somiglia più a un ingranaggio pubblicitario che a un servizio pubblico.
La conseguenza è nota: erosione di fiducia. Il lettore si accorge che dietro le parole c’è più marketing che indagine. E quando l’attenzione diventa la merce, la sostanza passa in secondo piano. È come se l’informazione smettesse di essere un bene pubblico e diventasse solo un pretesto per vendere spazi pubblicitari.
Artigianato e algoritmi: una convivenza possibile?
C’è però un’altra via. Non si tratta di contrapporre umano e artificiale, ma di capire come integrarli. Gli LLM possono aiutare a generare bozze, suggerire titoli, organizzare testi. Ma la selezione delle fonti, la capacità di interpretare i dati, l’intuizione critica restano prerogative umane.
Immaginare la scrittura come combinazione di artigianato e algoritmi significa riconoscere la forza della tecnologia senza abdicare alla responsabilità giornalistica. La forma può ibridarsi, ma la sostanza non è delegabile. Ed è proprio da questa combinazione che potrebbe nascere un giornalismo più agile, capace di unire la precisione del lavoro umano e la velocità degli strumenti automatici, senza confondere ruoli e responsabilità.
Un modello alternativo: la fiducia dei lettori
C’è chi, in questi anni, ha sperimentato strade diverse. Il crowdfunding, ad esempio, ha permesso la nascita e la crescita di progetti indipendenti. La newsletter Guerre di Rete di Carola Frediani è un caso emblematico: un prodotto sostenuto direttamente dai lettori, che scelgono di finanziare un’informazione libera, senza pubblicità invasiva né cessione di dati.
Qui il modello non è “più clic, più valore”, ma “più fiducia, più sostenibilità”. La logica si ribalta: non si lavora per l’algoritmo, ma per una comunità di persone interessate a capire davvero come funzionano tecnologia, sicurezza, sorveglianza.
È un giornalismo che non promette scorciatoie. Richiede competenza, tempo, rigore. Ma in cambio offre libertà editoriale e qualità. E soprattutto stabilisce un rapporto diretto con il pubblico: i lettori non sono utenti da profilare, ma sostenitori consapevoli di un progetto.
Conclusione
Lo stile, dunque, può essere flessibile, persino automatizzato. La sostanza no. È il giornalista che deve occuparsi di indagare, verificare, restituire complessità. Se la forma è un abito che si può cambiare, la sostanza è l’ossatura che non può mancare.
Il clickbait mostra cosa accade quando la forma diventa tutto: l’informazione si riduce a cornice vuota. Il crowdfunding e le esperienze indipendenti dimostrano invece che un altro modello è possibile, fondato sulla relazione diretta con i lettori.
In definitiva, il giornalismo del futuro si giocherà proprio qui: nel saper combinare l’agilità degli stili – anche presi in prestito, anche generati – con la responsabilità insostituibile della sostanza. Perché, se la forma può mutare, la fiducia si conquista solo con i fatti.
Der Kreiser in pastiche di Carola Frediani
PROMPT
Scrivi un articolo di approfondimento sul tema dello stile di scrittura nel giornalismo. L’angolo scelto è quello di considerare lo stile come qualcosa che si può prendere in prestito, mescolare e adattare, mentre la sostanza rimane responsabilità del giornalista. In questo quadro, usa come riferimento lo stile di Carola Frediani (scheda in allegato), caratterizzato da chiarezza, precisione informativa, capacità divulgativa e attenzione al contesto critico.
Sviluppa l’articolo evidenziando che:
La sostanza la fornisce il giornalista attraverso la ricerca e la verifica dei fatti.
La forma si modella grazie a stili diversi, fino a immaginare un “mix” in mood quasi automatico, come accade con i modelli linguistici generativi (LLM).
Questo porta a riflettere su come oggi la scrittura possa essere una combinazione di artigianalità umana e automatismi algoritmici.
Affronta poi il nodo del giornalismo clickbait, pronto a catturare click e a monetizzare attraverso la rivendita dei dati degli utenti. Sottolinea come piattaforme e strumenti di analisi (es. Google Analytics) alimentino un modello economico che riduce la qualità dell’informazione, spingendo testate online a riempire le pagine di pubblicità e contenuti superficiali.
Infine, inserisci un accenno al modello alternativo rappresentato dal crowdfunding, richiamando l’esperienza della newsletter Guerre di Rete di Carola Frediani. Metti in luce come questo tipo di giornalismo tecnologico, indipendente e competente, possa rappresentare una via più libera e sostenibile, fondata sulla fiducia dei lettori invece che sulla sorveglianza commerciale.
L’articolo deve avere un taglio analitico e divulgativo, mantenendo un linguaggio accessibile ma rigoroso, ed essere lungo circa 5.200 caratteri spazi compresi.