La “Leningrad Symphony” tra memoria storica e propaganda culturale. Perché la musica conta oggi nella Russia di Putin. Chi sono gli artisti pro Putin.
San Pietroburgo, 9 maggio
La Neva scorre lenta, gelata. Sulla piazza della Fortezza di Pietro e Paolo, una folla silenziosa ascolta la Settima Sinfonia di Dmitrij Šostakovič. È la Giornata della Vittoria, e tra le note si mescolano gli echi dei carri armati, i passi marziali dei soldati, le luci dei droni che tracciano nel cielo la lettera “Z”.
La musica dell’assedio di Leningrado — scritta tra fame, morte e bombardamenti nel 1941 — risuona ancora. Ma oggi, come un vecchio vinile graffiato, suona diversa: non più come resistenza, bensì come propaganda.
La musica come arma gentile
C’è sempre stata una sinfonia parallela al potere: dolce, insinuante, diretta da mani ferree. Šostakovič lo sapeva: sotto Stalin imparò a scrivere tra le righe, a nascondere la verità sotto le note. La Leningrad Symphony fu eseguita da un’orchestra di scheletri, musicisti affamati che suonavano per dire “noi esistiamo ancora”. Il mondo ascoltò, commosso. Stalin applaudì, soddisfatto.
Oggi, ottant’anni dopo, Putin la rispolvera come colonna sonora dell’orgoglio russo. Il dolore trasformato in retorica. La musica che fu lamento diventa jingle patriottico. La Settima non piange più i morti: accompagna le parate.
“La musica è l’arma più sottile del potere, quando suona in tonalità maggiore.”
La storia che ritorna
Stalin la presentò come “sinfonia della vittoria contro il fascismo”. Putin la propone come “sinfonia della vittoria contro il nazismo ucraino”. Solo le parole cambiano — la partitura resta la stessa. È la vecchia favola russa: soffrire, resistere, trionfare.
Eppure Šostakovič aveva scritto tutt’altro: la tragedia dell’uomo schiacciato dalla Storia. Ora la sua musica è svuotata, rituale di Stato, sigla del TG. Quando una sinfonia diventa comizio, muore due volte: nella mente e nel cuore.
La nuova élite musicale del Cremlino
Ogni regime ha la sua orchestra. Stalin aveva i cori dell’Armata Rossa. Putin, invece, ha YouTube, Spotify e i festival patriottici.
- Timati, il rapper milionario del “Putin Team”, canta con la Z stampata sul giubbotto; poi le sue tracce vengono rimosse da Spotify per propaganda (The Moscow Times, 28.06.2024).
- Filipp Kirkorov, il “crooner dello zar”, intona inni alla Crimea felix e viene bandito da Ucraina e Lituania.
- Oleg Gazmanov suona “Made in USSR” davanti a Putin.
- Grigory Leps* canta “Per la Russia – Per la pace senza nazismo” (pace armata, naturalmente).
- I Lyube, con il frontman Rastorguev, mescolano rock e nazionalismo, mentre il Cremlino li include nei fondi culturali pubblici.
- Valeriya, diva del pop, firma appelli a favore dell’annessione della Crimea.
E poi la cultura “alta”:
- Nikolay Baskov, tenore del pop, canta nelle zone occupate del Donetsk.
- Anna Netrebko, diva dell’opera, evita di condannare Putin e perde contratti in Occidente (Ministero ucraino della Cultura).
- Valery Gergiev, amico personale di Putin, direttore del Mariinskij, sanzionato dal Canada e bandito dai teatri europei.
- Denis Matsuev, pianista, cancellato ad Atene per le sue posizioni filogovernative.
Molti di loro sono oggi sanzionati o boicottati. Ma in patria ricevono titoli onorifici, fondi, medaglie. Il Cremlino ha il suo talent show del patriottismo: chi stona viene tagliato in montaggio.
L’estetica della guerra
Luzhniki Stadium, Mosca, marzo 2022. Putin entra sul palco dopo l’inno nazionale. Leps urla, Gazmanov saluta, la folla canta “Rossija, svjaščennaja naša deržava!” Sembra un concerto. È un comizio. Oppure è entrambe le cose, come in ogni dittatura ben coreografata.
I concerti diventano parate, i cori diventano slogan. Le sinfonie di Verdi e Čajkovskij vengono riscritte in chiave imperiale: Aida diventa fedeltà alla patria, Boris Godunov profezia dell’Eurasia.
La musica, usata così, non consola più. Addestra. È l’estetica della guerra: tamburi che coprono il dubbio, ottoni che soffocano la vergogna.
Eppur si muove…
Eppure, in una Russia silenziata, qualche nota dissonante ancora vibra.
Nei sotterranei di Mosca o negli scantinati di Ekaterinburg, giovani band suonano Šostakovič come un atto di resistenza. Il compositore Alexej Ljubimov organizza concerti clandestini. La cantautrice Monetochka canta da Vilnius canzoni ironiche sul regime. Molti fuggono, altri tacciono.
Nei conservatori, si insegnano inni patriottici al posto di Bach. Il silenzio è diventato una materia obbligatoria.
La libertà come dissonanza
La Settima di Leningrado termina con un crescendo d’ottoni, un urlo di vittoria. Allora significava “abbiamo resistito”. Oggi, nel lessico putiniano, significa “abbiamo vinto di nuovo”.
Ma la musica non appartiene a nessuno. Nemmeno a Stalin. Nemmeno a Putin.
La vera forza della musica è la sua ambiguità: non serve il potere, lo smaschera.
E così, tra i colpi di timpano e le marce patriottiche, forse Šostakovič sorride ancora. Sa che la sua sinfonia continuerà a parlare — anche quando il potere avrà smesso di ascoltare.
Der Kreiser in pastiche di Paolo Ghezzi
Testo sperimentale di scrittura automatica ispirato allo stile dell’autore citato, che non è coinvolto nei contenuti.La forma è presa in prestito. La sostanza, no.
🔗 Fonti e link utili
- Spotify rimuove musicisti pro-guerra – The Moscow Times, 28.06.2024
- Anti-Putin campaigners – The Guardian, 15.10.2014
- Boicottaggi contro Anna Netrebko – Ministero ucraino della Cultura
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Titolo:
La sinfonia del potere: da Šostakovič a Gergiev – da Stalin a Putin
Sottotitolo (max 160 caratteri):
La Leningrad Symphony tra memoria storica e propaganda culturale. Perché la musica conta oggi nella Russia di Putin. Chi sono gli artisti pro putin.
Scena d’apertura:
[San Pietroburgo], [9 maggio, Giornata della Vittoria], [una folla silenziosa ascolta la “Settima Sinfonia” di Šostakovič risuonare nell’aria gelida, mentre i carri armati passano].
Tesi:
La musica è da sempre un’arma sottile nelle mani del potere. La Russia di Putin ne fa uso oggi come ieri: proprio come Stalin strumentalizzò Šostakovič, così Putin mobilita il pantheon dei cantanti e musicisti patriottici per rafforzare il consenso e il culto del regime.
Argomento 1 – La storia che ritorna:
Racconta la genesi della “Sinfonia Leningrad” di Šostakovič durante l’assedio nazista del 1941, la sua funzione simbolica come forma di resistenza e propaganda sovietica. Spiega come oggi questa sinfonia venga utilizzata nelle commemorazioni patriottiche putiniane, svuotandola di senso critico.
Argomento 2 – La nuova élite musicale del Cremlino:
Analizza la rete di artisti pro-regime (da Timati a Valery Gergiev), mostrando come siano diventati strumenti della narrazione ufficiale, spesso premiati con visibilità, fondi e onori di Stato in cambio di fedeltà politica. Inserisci dati sulle sanzioni e l’esclusione dagli ambienti culturali occidentali.
Argomento 3 – L’estetica della guerra:
Descrivi come concerti e canzoni (anche classiche) vengano messi al servizio della guerra in Ucraina e del nazionalismo russo. Parla della spettacolarizzazione patriottica, con esempi di concerti per la Crimea, eventi al Luzhniki Stadium e opere liriche rilette in chiave imperialista.
Controcanto:
Includi la voce di artisti dissidenti o in esilio, il silenzio imposto nei conservatori russi, e la resistenza culturale sotterranea (es. musicisti emigrati, giovani alternativi, critici repressi).
Chiusura:
Chiudi riflettendo sul significato della “musica come memoria” e l’importanza di proteggere l’arte dall’abuso ideologico. La vera potenza della musica sta nella sua ambiguità e nella sua libertà, non nella sua strumentalizzazione.